Alcuni mesi prima del parto e nei mesi successivi una lavoratrice è tutelata dalla legge, che le impone di non lavorare: - nei due mesi precedenti alla
data presunta del
parto; - nel lasso di tempo che può intercorrere tra la
data presunta e la
data effettiva; - nei tre mesi successivi al parto. Esiste la possibilità di proseguire
l’attività lavorativa durante
l’ottavo mese di gravidanza presentando dei
certificati medici entro la fine del settimo: il periodo di congedo si può così prolungare dopo il parto. Con il congedo di maternità spetta
un’indennità economica a
diverse categorie di lavoratrici: - dipendenti assicurate all’Inps anche per la
maternità, che abbiano un rapporto di lavoro in corso nel momento in cui inizia il congedo; - disoccupate o sospese, se il congedo di maternità ha avuto inizio entro 60 giorni dall’ultimo giorno di
lavoro, se no, purché sussista il
diritto all’indennità di disoccupazione, alla mobilità o alla
cassa integrazione; -
lavoratrici agricole (a tempo determinato e indeterminato), che risultino in possesso della qualifica di braccianti negli
elenchi nominativi annuali per almeno 51 giornate di lavoro; - addette ai servizi familiari e domestici, come colf e badanti, che abbiano maturato 26 settimane di contributi nell’anno precedente il congedo, o 52 settimane di contributi nei due anni precedenti; - lavoratrici a domicilio; -
LSU o APU, cioè impiegate in attività socialmente utili o di
pubblica utilità. Il congedo di maternità non spetta alle donne assunte da
amministrazioni pubbliche, con un contratto a tempo determinato o di lavoro temporaneo, se nei
relativi ordinamenti sono previste condizioni migliori.