Anche se il latte materno viene considerato "l'optimum" per il neonato, dal momento che soddisfa tutte le sue esigenze di crescita, non sempre è possibile allattare al seno e il ricorso al latte artificiale diventa una necessità. Il caso più ovvio è quello della mamma che produce poco latte o, per lo meno, in quantità non adeguata alle esigenze del piccolo, che necessita quindi di un'integrazione con latte in polvere. Numerose associazioni di pediatri sconsigliano l'allattamento al seno in caso di depressione post partum, per evitare un ulteriore stress alla donna, oppure quando la mamma è colpita da malattie contagiose gravi come, per esempio, infezioni da HIV o epatite e, comunque, in tutti i casi in cui la neomamma presenta una situazione di forte debilitazione. Il latte materno, per ovvie ragioni, deve essere messo al bando anche in tutti i casi in cui la donna presenta tossicodipendenza, alcolismo o tabagismo. Basti pensare che la donna che fuma 30 sigarette al giorno espone il proprio piccolo, in caso di allattamento al seno, a tutti gli effetti farmacologici causati dalla nicotina, come tachicardia e nervosismo. Il latte artificiale trova una ragione di impiego anche in tutti i casi in cui la mamma è costretta ad assumere costantemente farmaci controindicati in caso di allattamento, dal momento che le componenti dannose, cedute al latte materno, vengono assunte dal neonato. Tuttavia, non solo i problemi materni possono portare a una sostituzione dell'allattamento al seno con il biberon. Anche alcune patologie metaboliche del piccolo possono rendere controindicato il latte materno. E' il caso, per esempio, della galattosemia, malattia ereditaria causata da un mal funzionamento dell'enzima che metabolizza il galattosio.